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lunedì 19 maggio 2025

Leon XIV. in manjšinski jeziki / Leone XIV e le lingue minoritarie

 


Papa Leone XIV è un poliglotta. Oltre all’inglese americano, sua lingua madre, parla correntemente lo spagnolo, che nell’America Latina preferiscono chiamare castigliano, l’italiano, il francese e il portoghese; sa leggere il tedesco e, naturalmente, ha dimestichezza con il latino.

Questo hanno riportato i media di tutto il mondo dopo l’elezione, ma, a leggere attentamente le biografie di Robert Francis Prevost, si scopre che parla anche il Quechua, la lingua dei nativi sudamericani, già ufficiale nell’impero Inca, parlata da quasi 8 milioni di persone nell’area occidentale del Sud America, incluso tutto il Perù. E il nuovo pontefice, appartenente all’ordine degli agostiniani, ha lavorato come missionario a Chulucanas e Trujillo a partire dagli anni ’80, immergendosi nelle culture locali e utilizzando pure da vescovo per predicazioni, amministrazione di sacramenti e dialogo con le comunità anche la lingua dei nativi delle sue diocesi di Chiclayo e Callao.

Questo particolare dell’uso della lingua dei nativi rende ancora maggiore la simpatia e la sintonia con il nuovo papa degli sloveni di Benecia, Resia e Valcanale come di tutte le comunità etnico-linguistiche con una storia passata e presente di vessazioni, discriminazioni e politiche di assimilazione.

Consola e dà grandi speranze constatare che, con Leone XIV, alla guida della Chiesa universale c’è ancora un pastore che si è lasciato plasmare dalla gente. Non dal potere, né dalla burocrazia ecclesiastica, ma dal contatto diretto con le comunità di confine, quelle dove la fede non è scontata, dove la Chiesa è sempre corpo a corpo con la povertà, la disperazione e la speranza.

Il pensiero ecclesiale del santo padre si è formato in Perù, dove ha vissuto per oltre vent’anni e anche acquisito la cittadinanza.

In Perù il nuovo pontefice si è arricchito nel dialogo con le culture locali, nell’ascolto delle ferite della società e nell’esperienza concreta di una Chiesa che non ha paura di rimboccarsi le maniche. Così i più attenti osservatori fanno notare che il nuovo Papa non è un teorico della sinodalità, è piuttosto uno che l’ha vissuta prima ancora che se ne parlasse nei documenti.

Il suo modo di concepire la Chiesa, in definitiva, è per molti versi affine a quello di papa Francesco, che voleva una Chiesa «in uscita », che non giudica ma accoglie, che non impone ma accompagna. E in chi gli è succeduto c’è anche la sobrietà derivante dal pensiero e dall’insegnamento di Sant’Agostino che crede nella forza della comunità, ma anche nella centralità della coscienza e nel valore del discernimento personale.

Robert Francis Prevost è stato eletto papa in un mondo lacerato da guerre e conflitti di ogni sorta, segnato da un individualismo sfrenato che calpesta la dignità dell’uomo, nel quale, come da lui stesso sottolineato nella prima messa con i cardinali elettori, la fede cristiana «è considerata una cosa assurda» perché «si preferiscono tecnologia, denaro, successo, potere, piacere» e in alcuni contesti Gesù «è ridotto solamente a leader carismatico o un superuomo», e ciò anche «tra molti battezzati che finiscono così col vivere un ateismo di fatto».

Che fare, allora? Leone XIV lo ha detto subito dopo l’elezione parlando dalla loggia della basilica di San Pietro: «Il mondo ha bisogno della luce di Cristo, l’umanità necessita di Lui come ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutiamoci anche noi, gli uni gli altri, a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo, sempre in pace». Solo così, come ha detto Francesco il giorno di Pasqua, «il male non prevarrà».

In definitiva, il pontificato di Robert Francis Prevost segna una continuità – e non poteva essere diversamente dopo i 12 anni di Jorge Mario Bergoglio – nella preoccupazione per il bene comune, per un Vangelo al centro della società e per una Chiesa che si mette in ascolto dei più poveri e dei più piccoli. Comprese le minoranze etnico- linguistiche.

Ezio Gosgnach

dal Dom

giovedì 15 maggio 2025

Specchi digitali: come i social stanno cambiando sogni, relazioni e identità


 C’è ancora spazio per la speranza e per un cambiamento. La consapevolezza sta crescendo, i primi segnali di reazione ci sono. Alcune scuole, famiglie, istituzioni iniziano a ripensare i modelli educativi e relazionali. È un lavoro lento, ma possibile. Dobbiamo imparare a vivere nel digitale senza esserne dominati. Restituire centralità al pensiero critico, al dialogo, alla moderazione

Negli ultimi vent’anni, il nostro rapporto con la tecnologia ha prodotto una trasformazione radicale nel modo di costruire il futuro e, soprattutto, nel modo in cui i più giovani lo immaginano. Dove prima si sognava di volare nello spazio, oggi si aspira a diventare virali sui social.

L’articolo di Riccardo Luna, pubblicato su Il Corriere della Sera, dal titolo: “Da astronauta a influencer: cosa è andato storto nel sogno di futuro dei nostri figli”, offre un’analisi lucida e coraggiosa di questa mutazione culturale, mettendo in luce come i social media abbiano progressivamente sostituito l’orizzonte collettivo con una moltitudine di specchi narcisistici. A partire da questa riflessione, è possibile indagare da un punto di vista sociologico le ragioni profonde di questo cambiamento e i rischi che esso comporta, non solo per le giovani generazioni, ma per l’intera tenuta della nostra coesione sociale. 

continua qui https://www.ilsaltodellaquaglia.com/specchi-digitali-come-i-social-stanno-cambiando-sogni-relazioni-e-identita/

lunedì 5 maggio 2025

Evoluzione e caratteri del conclave: breve excursus storico Articolo di Armando Giardinetto 3 Maggio 2025


 L’etimologia della parola è semplice: dal latino cum clave, con la chiave, nel significato di stare in una stanza, a volte segreta, chiusa a chiave senza poterne uscire. Pare che il primo a pronunciare questa parola sia stato papa Onorio III (1150 – 1227) che, se non altro, fu colui che diede inizio al diritto canonico, dove sono poste le regole del Collegio cardinalizio. Oggi tutti sappiamo che cos’è il conclave e qual è il suo scopo: i cardinali si riuniscono, dopo la morte del pontefice regnante, per eleggere un nuovo papa. Anche se non è facile delineare la storia del conclave, in questo scritto cercherò di guidarvi a grandi linee attraverso le numerose fasi che hanno portato al conclave così come lo conosciamo oggi. L’elezione del Vescovo di Roma, successore di San Pietro, non è avvenuta sempre così come siamo abituati, poiché al conclave, nel senso moderno del termine, ci si arriva dopo un lungo processo di cambiamenti interni alla Chiesa soprattutto nel periodo medievale.

Va certamente saputo, tanto per cominciare, che all’inizio della storia della Chiesa i papi venivano eletti attraverso vari modi: per acclamazione dei romani; designato da quello vigente in vita e o in punto di morte; riconosciuto dal popolo dopo un segno ritenuto divino; per approvazione dell’imperatore regnante dopo la caduta dell’Impero Romano d’occidente. San Pietro, per esempio, indicò come suo successore Lino di Volterra e questo si evince dal testo del vescovo Ireneo (122-202), Adversus haereses, dove c’è scritto: “Dopo che gli apostoli Pietro e Paolo fondarono ed organizzarono la Chiesa, essi conferirono l’esercizio dell’ufficio episcopale a Lino”. Per fare un altro esempio, dopo la morte di papa Antero (? – 236), mentre il popolo decideva su chi dovesse ricadere la nomina, una colomba si posò leggiadra sul capo del romano Fabianus che, per questo chiaro segno della volontà dello Spirito Santo, venne eletto ventesimo papa della Chiesa. Con l’Editto di Costantino, poi, si decise che il papa fosse acclamato esclusivamente dal clero romano, ma alla fine era sempre il popolo ad accettare o rifiutare la nomina. Un caso particolare fu quello di papa Giovanni III, eletto nell’anno 561, che dovette aspettare vari mesi prima che l’imperatore Giustiniano confermasse la nomina.

Il primo papa ad essere eletto de facto in un luogo segreto – il monastero di San Sebastiano sul Palatino – dove si erano riuniti i cardinali per sfuggire ai tumulti cittadini filo-imperiali, fu Gelasio II nel 1118, tuttavia non c’è ancora in questo momento una coscienza del conclave vero e proprio.

Il primo conclave della storia più simile alla forma che conosciamo oggi (c’erano stati altri prima, ma diversi nell’organizzazione) risale al pontificato di Gregorio XV (1554 – 1623), al secolo Alessandro Ludovisi, bolognese di nascita. Dal momento che regnava una confusione totale circa l’elezione di un nuovo pontefice, su cui si intromettevano re e imperatori a scopo puramente politico, papa Ludovisi, per cercare di portare un equilibrio sulla suddetta questione, scrisse Aeterni Patris Filius (1621) e la bolla Decet Romanum Pontificem (1622), con ciò sottolineava l’assoluta necessità di chiudere i cardinali sotto chiave per eleggere il successore di Pietro. Sanciva, altresì, l’obbligo dell’elezione per mezzo della maggioranza dei due terzi dei voti, generalmente segreti, dati dall’intero Collegio. Così, dopo i suoi funerali, i cardinali si riunirono nel Palazzo Apostolico ed elessero, qualche settimana dopo, il fiorentino Maffeo Vincenzo Barberini che, col nome di papa Urbano VIII, regnò per quasi 21 anni. continua  https://www.ilsaltodellaquaglia.com/evoluzione-e-caratteri-del-conclave-breve-excursus-storico/

giovedì 10 aprile 2025

ALLA SCOPERTA DELLA VAL RESIA

 


Insieme alla scoperta di Resia/Rezija. Domenica, 9 marzo, le associazioni alpinistiche Planinska družina Benečije e Planinsko društvo Brda hanno organizzato una gita nella valle ai piedi del Canin, cui ha partecipato una cinquantina di persone.

martedì 8 aprile 2025

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